Malta romana trovato il segreto usato nell'antica Roma si potrà creare un cemento ecologico 10

Malta romana trovato il segreto usato nell’antica Roma si potrà creare un cemento ecologico

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Malta romana. Particolari reazioni chimiche tra i componenti della malta romana utilizzata dagli antichi romani donavano al calcestruzzo una resistenza paragonabile a quella di molti materiali moderni. Lo conferma un nuovo studio condotto da una ricercatrice dell’Università di Berkeley in California.

PER QUASI due millenni i Mercati di Traiano hanno resistito abbracciati alle pendici del Quirinale, sopravvivendo a guerre, tempeste e terremoti. Il complesso, che risale al secondo secolo dopo Cristo, è solo uno dei tanti monumenti di epoca romana arrivati sostanzialmente intatti (almeno sul piano strutturale) fino ai giorni nostri. I risultati delle analisi condotte due anni fa sul porto romano della baia di Pozzuoli a Napoli facevano pensare che fosse il contatto con l’acqua a rendere il cemento particolarmente solido. Ora un nuovo studio apparso sui Proceedings of the National Academy of Sciencesfornisce nuovi elementi che spiegano l’incredibile resistenza del calcestruzzo dell’antica Roma. La ricerca, realizzata da un team di scienziati americani, cinesi e italiani, ha analizzato infatti la composizione chimica della malta romana utilizzata nelle opere in muratura dell’antica Roma, scoprendo che particolari reazioni chimiche tra i suoi componenti fornivano al materiale una resistenza paragonabile a quella di molti cementi odierni. Un antico segreto, che secondo i ricercatori oggi potrebbe indicare la strada per produrre nuovi materiali da costruzione, resistenti ed eco-friendly.

La formula della malta romana in questione è una ricetta perfezionata dai costruttori romani intorno al primo secolo a.C., e rimasta in uso per oltre 500 anni. Gli ingredienti principali del composto sono la pozzolana (un miscuglio di ceneri vulcaniche e limo estratto all’epoca nei Campi Flegrei di Pozzuoli e nel Lazio) e la calce, in cui venivano inseriti frammenti di tufo, mattoni e cocci per formare il cosiddetto cementizio, uno dei primi esempi di calcestruzzo della storia. Per scoprire il segreto di questo materiale, i ricercatori hanno riprodotto l’esatta mistura utilizzata nelle costruzioni romane e l’hanno lasciata indurire per 180 giorni, osservando i cambiamenti mineralogici che avvenivano al suo interno e confrontando i risultati con i campioni prelevati dai muri dei Mercati di Traiano.

Hanno così scoperto che quando la malta romana si indurisce i materiali presenti al suo interno reagiscono tra loro, creando dei cristalli di un minerale estremamente resistente noto come strätlingite. Quando la malta è completamente secca questi cristalli formano quindi al suo interno un’impalcatura che impedisce alle crepe di propagarsi, rendendo il materiale estremamente duraturo e resistente alle sollecitazioni meccaniche e sismiche, anche per gli standard attuali. Secondo i ricercatori, oltre a testimoniare la grande capacità dei costruttori dell’antica Roma la scoperta potrebbe rivelarsi preziosa anche per sviluppare nuovi cementi poco inquinanti.

La produzione di cementi moderni è responsabile infatti di circa il 7% della Co2 immessa ogni anno nell’atmosfera. Il calcestruzzo utilizzato dai romani contiene invece il 45-55% di frammenti di tufo e mattoni, e viene creato a temperature molto minori di quelli attuali. Per questo, spiegano i ricercatori, il suo utilizzo determinerebbe una forte diminuzione delle emissioni di anidride carbonica.

Se riuscissimo anche noi a incorporare un volume consistente di pietre vulcaniche nella produzione di cementi potremmo ridurre sensibilmente le emissioni di anidride carbonica“, spiega Marie Jackson, ricercatrice dell’Università della California di Berkerley che ha coordinato lo studio, “aumentando inoltre la durabilità del materiale, e la sua resistenza a sollecitazioni meccaniche“.

In secula seculorum“, nei secoli dei secoli. E così sia: una volta costruito un edificio, nell’antica Roma, ce ne si poteva dimenticare. Eccetto terremoti imprevedibili, tutti avevano la certezza che non sarebbe mai crollato. Perché l’impasto cementizio utilizzato ai tempi dell’Impero era meglio di quello che sappiamo fare oggi. Più resistente sì, ma anche più sostenibile dal punto di vista ambientale.

Per capirlo basta guardare le rovine romane ancora in piedi dopo oltre duemila anni. E a metterlo nero su bianco è uno studio di una squadra internazionale di scienziati, e potrebbe aiutare chi costruisce a farlo da qui in poi in maniera migliore. Gli scienziati e gli ingegneri hanno notato la resistenza all’erosione e all’acqua del cemento romano impiegato nella costruzione di porti, ancora perfettamente conservato in molti casi. L’ingegnere Marie Jackson dell’Università della California a Berkley fa i numeri:

Rispetto a quello romano, il cemento di Portland, quello che usiamo comunemente da 200 anni, in queste condizioni non durerebbe più di mezzo secolo prima di iniziare a erodersi“.

Per capire le proprietà del cemento romano, l’equipe ha analizzato tra l’Europa e gli Usa un campione estratto dal porto romano della baia di Pozzuoli, a Napoli. Il segreto è nell’utilizzo di particolari minerali, tra cui roccia vulcanica e calce, che a contatto con l’acqua rendevano il cemento particolarmente solido. E che per essere prodotto, non aveva bisogno di una dispersione di diossido di carbonio nell’atmosfera pari al 7% del totale, come accade oggi. Il connubio calce-cenere vulcanica non c’è nel cemento di Portland. E quindi “dopo qualche anno inizia a fratturarsi, al contrario di quello romano“, spiega ancora Jackson. Impiegare oggi quelle tecniche di costruzione è una sfida per tutta l’industria. Ma si avrebbe quindi poi accesso a un materiale più solido ed ecologico da produrre. Accanto alle altre soluzioni sostenibili per l’ambiente a cui oggi l’umanità ha accesso, ora c’è un’altra risposta che viene dal passato remoto.

di SIMONE VALESINI

fonti: repubblica, repubblica

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