Alzheimer memoria distrutta ma migliora la creatività e l’efficienza di alcune aree cerebrali. Nella tragedia, spunta una nota brillante. Perché l’Alzheimer distrugge cervelli e rovina famiglie, ma in alcuni pazienti aumenta la creatività. Insegna a cantare, dipingere e scrivere versi a persone che mai lo avevano fatto in vita loro. E aumenta l’efficienza di alcune aree cerebrali risparmiate dalla malattia (come quelle legate all’estrosità e alle facoltà sensoriali), che sembrano “risvegliarsi” per supplire alla devastazione circostante.
Le osservazioni in passato erano state tante. Perfino il Bolero di Ravel, nella sua stralunata ossessività, era stato attribuito all’inizio di malattia (forse una demenza) del suo autore. Oggi, sul Journal of Alzheimer’s Disease, uno studio dei ricercatori del Neuroscience Research Australia intitolato “Non tutto è perduto” prova a mettere ordine fra i tanti casi pubblicati sulle riviste scientifiche.
“Abilità creative come pittura, disegno e canto, che prima non erano evidenti in un individuo, possono emergere o migliorare in pazienti con malattia di Alzheimer o demenza frontotemporale” scrivono gli autori.
Alzheimer memoria e creatività. I ricercatori australiani hanno interrogato 185 persone che assistono pazienti con demenza e hanno registrato un aumento di attività creative in alcuni degli assistiti. Molte associazioni di malati nel mondo, d’altra parte, organizzano da tempo corsi di pittura, lezioni di canto e visite ai musei (incluso il Moma di New York) come paracadute per il crollo delle facoltà cognitive. L’università del Kentucky, ad esempio, farà partire a settembre una sperimentazione per vedere se pittura, collage e scultura migliorano i sintomi di 12 pazienti con demenza lieve.
“Una possibile spiegazione – dice Olivier Piguet che ha coordinato lo studio – è che la demenza colpisce il cervello in maniera progressiva. L’atrofia nelle fasi iniziali è piuttosto localizzata. Ma quando si estende può spingere all’attivazione le regioni che vengono risparmiate. Le attività cognitive come memoria e linguaggio declinano rapidamente, mentre le facoltà musicali poggiano su circuiti meno intaccati dalla malattia”.
Un’altra ipotesi, segnalata negli anni passati, suggeriva che il declino delle facoltà cognitive “disinibisse” le aree legate alla creatività.
Alzheimer memoria ko ma il cervello reagisce
A indirizzare i neuroscienziati verso il legame fra Alzheimer e creatività c’è anche un curioso precedente. Il destino del musicista e compositore Maurice Ravel, una decina di anni fa, iniziò infatti a intrecciarsi in maniera sorprendente con quello di Anne Theresa Adams, una pittrice canadese che del suo brano musicale più celebre, il Bolero, si era sforzata di dare una traduzione visiva nella serie di opere intitolata “Unraveling Bolero”. Anche lei, come il compositore, con l’avanzare degli anni aveva mostrato i primi segni di afasia: l’incapacità di esprimersi a parole causata probabilmente da una qualche forma di demenza.
“Nonostante la grave degenerazione” di alcune aree del suo cervello, scrisse nel 2007 sulla rivista Brain un gruppo di neuroscienziati dell’Università della California a San Francisco, “Anne Adams mostrava un aumento di materia grigia e di perfusione di sangue nelle zone implicate con l’integrazione di sensi diversi”.
Segno, suggeriscono i ricercatori, che i miglioramenti di funzionalità delle aree risparmiate dalla malattia possono “dar vita a forme di creatività visiva liberate dalla degenerazione” della corteccia frontale. Un aumento della creatività è stato notato anche in alcuni pazienti di Parkinson, specialmente dopo l’assunzione di farmaci che aumentano la dopamina nel cervello. La stessa arte di Van Gogh era stata associata agli attacchi di psicosi che provocano il rilascio in grandi dosi di questo neurotrasmettitore.
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